“Voglio potermi arrabbiare” di Chiara Briani – Alter Ego Edizioni

Un ictus cerebrale arriva e sconvolge l'esistenza di Giovanni, cinquantatré anni, imprenditore, con una moglie e una figlia non ancora maggiorenne. Una beffa del destino che gli lascia una pesante eredità: l'impossibilità di muovere metà del corpo e di parlare. Afasia. Da qui inizia l'odissea di Giovanni, la sua silente agonia, la lenta e faticosa riabilitazione per recuperare il deficit motorio e l'uso della parola. Un percorso in salita non privo di impedimenti e interruzioni, vivo del sostegno in ospedale degli altri malati e della passione di un'équipe di medici in cui si distinguono Serena, logopedista scrupolosa, Guido, brillante specializzando, e Chiara, instancabile neurologa, che per una strana coincidenza non solo si chiama come la figlia di Giovanni, ma ritrova in quell'ennesimo paziente afasico una incredibile somiglianza con suo padre, morto improvvisamente anni prima senza che lei fosse riuscita a salvarlo, quasi un fantasma tornato dal passato.

Questa è bella introduzione della casa editrice Alter Ego al libro di Chiara Briani.
Io da afasico e da amministratore di questo sito vorrei fare una serie di considerazioni senza aver letto interamente il libro.
Il ruolo del neurologo in primis è, secondo me, il più vicino all'anima del paziente, intesa come una persona e non come un numero da adoperare per le statistiche. Chiara Briani ha colto questo punto fondamentale. Chiara analizza chi ha di fronte, entra nella sua psicologia e dei suoi familiari; si mette idealmente nel letto del paziente, non dice delle false verità o alimenta delle illusioni. Entra in empatia con il malato e tocca le corde dei suoi dilemmi e da delle risposte concrete. Di Giovanni (il protagonista di questo romanzo) e non solo.
Ho fatto un indagine su internet su Chiara (neurologa) e ho scoperto che è ad alto livello professionale, che ha studiato negli Stati Uniti e ha un curriculum di tutto rispetto. Ho visto su youtube un video del quale non ho capito niente, essendo io fuori dal range medico. Era di un'intervista nella quale si parlava di una patologia neurologica (non di afasia) nella quale, con disinvoltura, aveva snocciolato sigle e parole che non avevo mai sentito. Eppure era lei, quella Chiara (scrittrice) che aveva scritto un libro semplice da leggere, alla portata di tutti, delicato e toccante; che lascia un messaggio sottinteso di come deve essere la professione di medico.
Oltre ha promuovere la lettura di questo libro, idealmente a nome di tutti gli afasici, auguro a Chiara, scrittrice e neurologa, un futuro ricco di soddisfazioni in tutti e due i campi.
Giuseppe Bobbo

 

 

Chiara Briani

Scrivi con parole dimenticate, biografia dello scrittore Slawomir Mrozek

traduzione articolo di P. UNAMUNO

Di tutte le disgrazie che uno scrittore può subire, il più vicino a una punizione divina è perdere la capacità di comprendere e usare il linguaggio, che è tecnicamente noto come afasia. Questa fu la maledizione che colpì lo  e narratore polacco Slawomir Mrozek dopo aver subito un ictus nel 2002, e l’unica cosa gratificante è che fu in grado di recuperare abbastanza da scrivere la sua autobiografia.
La casa editrice Acantilado offre per la prima volta in spagnolo il racconto di Mrozek del suo incidente cerebrale, un compito che ha intrapreso insieme al suo logopedista come terapia per riscrivere nonostante l’apatia che aveva assunto il suo essere. La pubblicazione nel 2007 (in polacco) di Baltasar (An autobiography) è stata l’ultimo punto della sua riabilitazione e l’ultimo retaggio di un letterato che è morto solo pochi mesi fa, nell’agosto 2013.
Così egli stesso fa un bilancio di danni dopo l’ictus: “Il polacco, la mia lingua madre, era diventato improvvisamente incomprensibile … Sapeva leggere, ma non capiva cosa stesse leggendo. la scrittura, il computer, il fax e il telefono (…) non sapevo come contare o orientarmi nel calendario “. Né ho distinto sopra dal basso, la destra da sinistra; delle numerose lingue straniere che conosceva prima dell’attacco, nessuna traccia rimaneva nel suo cervello.Continue reading

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“Parla…papà” di Sandra Dema – Falzea Editore

“Ha-ha” di Dave King – Fazi Editore, Roma 2007

Da lontano, non vedresti niente di complesso o di innaturale; c’è un adulto che sta badando a un bambino: magari, a poca distanza, c’è la sua compagna che sorride, e osserva la scena. Avvicinandoti, apprezzeresti qualcosa di radicalmente diverso. Quell’adulto ha una ferita antica sul cranio, e non parla: non scrive, non legge, non conosce il linguaggio dei segni. Mugugna, mima.

Quel bambino non è suo figlio, è il figlio d’una sua ex, del suo unico grande amore: gliel’ha affidato, ché si trova in clinica per disintossicarsi dalla cocaina. Quella donna che li osserva, invece, è l’affittuaria dell’uomo ferito; è sua amica, adesso, lo aiuta nell’amministrazione e nella quotidianità, come può.

Da lontano avresti pensato fosse una famiglia. Sembrava tutto così bello, e così naturale. Già. In termini botanici, questa stupenda illusione si chiama ha-ha. L’ha-ha è, tecnicamente, un muro nascosto da un fossato ricoperto d’erba. È un’illusione ottica: serve a offrire una vista idilliaca del panorama che circonda un giardino, dai prati e dai dintorni nobili d’una casa. L’etimo è curioso: spiega Thomas Everett, nella The New York Botanical Garden Illustrated Encyclopedia of Horticulture: “Il termine ha-ha deriva dall’esclamazione che un estraneo potrebbe lasciarsi scappare nel ritrovarsi improvvisamente sull’orlo del fossato dalla cima del muro. Un’esperienza di questo tipo, ovviamente, si rivelerebbe estremamente pericolosa per gli sprovveduti” (p. 11). Il lettore è avvisato.

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